Due articoli di Marco Bersani
Attac Italia

“Nel 2012, il governo della Grecia approvò una legge che imponeva uno scambio obbligatorio dei suoi titoli di debito con nuovi titoli, con una riduzione di valore superiore al 50%.

Alcuni detentori di quei titoli -tre persone fisiche, due società, tutti tedeschi- ricorsero alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ritenendo che tale legge costituisse una violazione degli obblighi della Grecia e chiedendo un risarcimento di quattro milioni di euro.

Con sentenza del 23 maggio 2019, i giudici europei hanno respinto le argomentazioni dei ricorrenti, non riconoscendo alcun risarcimento e condannandoli alle spese processuali.

I ricorrenti invocavano la violazione dell’art. 26 della Convenzione di Vienna (Convenzione sul diritto dei trattati – approvata il 23 maggio 1969) che, rifacendosi al principio “pacta sunt servanda”, così recita: “Ogni trattato in vigore vincola le parti e queste devono eseguirlo in buona fede”.

La Corte di giustizia dell’Unione europea ha in primo luogo contestato il ricorso alla Convenzione di Vienna, in quanto applicabile solo ai rapporti fra gli Stati (art.1) e non a quelli fra soggetti privati e uno Stato.

Ma è entrata anche nel merito, affermando come il principio di diritto “pacta sunt servanda”, in base al quale uno Stato deve rispettare gli obblighi che ha contratto, non è assoluto, bensì temperato da un altro principio di diritto chiamato clausola “rebus sic stantibus” (“le cose rimangono invariate”), con il quale si intende che le disposizioni del trattato o del contratto continuano ad applicarsi fintanto che le circostanze essenziali che hanno giustificato la conclusione di tali atti rimangono invariate; ma che se le circostanze cambiano in modo significativo, una delle parti potrebbe non adempiere ai termini del contratto. Riconoscendo alla Grecia il mutamento significativo delle circostanze, continua qui https://www.attac-italia.org/annullare-il-debito-si-puo-lo-dice-la-corte-di-giustizia-ue/https://www.attac-italia.org/annullare-il-debito-si-puo-lo-dice-la-corte-di-giustizia-ue/

Facciamo chiarezza su Mes e Recovery Fund

di Marco Bersani, Attac Italia e CADTM Italia

*articolo pubblicato su il manifesto del 16.01.2021 per la rubrica Nuova finanza pubblica 

Mentre il Paese è ancora attraversato da una pandemia che lo ha messo in ginocchio, dentro la sfera istituzionale va in scena il teatro dell’assurdo di una crisi di governo, incomprensibile ai più, dettata da ambizioni personali e dallo scontro di potere in vista dell’arrivo di fondi che dovrebbero servire alla rinascita del Paese.

Ma se sulle prime poco si può fare, essendo il narcisismo un virus senza vaccino, sul secondo è bene fare un po’ di chiarezza, poiché da quanto traspare nella comunicazione politica e mass-mediatica sembra proprio si scambino lucciole per lanterne.

Partiamo dal Mes, agitato come una clava da Renzi e presentato da quasi tutti i partiti e stampa come un regalo di 36 miliardi per medici, infermieri, ospedali e assistenza, cui solo la tigna dell’ideologia impedisce di accedere.

É davvero così? Ci sono 36 miliardi per la sanità che, per colpa di qualcuno, stiamo buttando via?

La realtà è un’altra: il Mes è una delle modalità di reperimento di risorse per coprire le spese previste nel comparto sanitario, spese già approvate con la legge di bilancio, e il cui ammontare è indipendente dalle modalità con cui le si finanzia. 

Non ci sono 36 miliardi in più, c’è solo la possibilità di finanziare una parte della spesa deliberata per il Servizio Sanitario Nazionale (121,37 mld per il 2021, con un ridicolo aumento, in piena pandemia, di 853 milioni rispetto all’anno precedente) attraverso il Mes, invece che con l’ordinaria emissione di titoli di Stato.

Il “vantaggio” sarebbe nei tassi di interesse leggermente inferiori per quella parte; lo svantaggio, ben più considerevole, sono le condizionalità (leggi: politiche di austerità), inscritte nel Trattato e mai modificate, nonostante le dichiarazioni del Gentiloni di turno.

Proviamo a leggere meglio anche le mirabolanti cifre del Next Generation Ue, una serie di fondi europei, con in testa il cosiddetto Recovery Fund. Il governo ha in questi giorni approvato il Recovery Plan, ovvero l’insieme dei progetti per accedere a questi fondi.

Ci saranno altre occasioni per entrare nel merito di un piano che appare privo di una visione, incapace di raccogliere i drammatici insegnamenti della pandemia indicando la via della trasformazione sociale, costruito come una normale legge di bilancio, dove ciascuno cerca di portare a casa qualcosa.

Qui facciamo solo il punto sull’ammontare dei fondi. La prima cosa da sottolineare è che, mentre i fondi assegnati all’Italia corrispondono a 196,5 miliardi, il governo ha predisposto un piano per 209,9 miliardi. Di questa cifra, 68,9 mld sono trasferimenti e 141 sono prestiti.

Sono tutte risorse aggiuntive? No, le risorse aggiuntive sono i 68,9 mld  di trasferimenti e 53,5 della quota prestiti, perché gli altri 87,5 mld di quota prestiti vanno a coprire spese già deliberate (cambia solo, come per il Mes, la modalità di finanziamento).

Risultato: non stanno arrivando 209,9 miliardi, ma solo 122,4 mld (di cui 68,9 senza interessi e 53,5 con tassi leggermente inferiori) nell’arco di un periodo di sei anni (2021-2026). Si tratta dunque di 20 miliardi all’anno e anche questi soggetti alle “Raccomandazioni Ue specifiche per paese”.

Tutto da buttare, dunque? Certo che no, ma un’informazione trasparente è il minimo che va garantito ad un Paese precipitato nella precarietà e nella fragilità del proprio quotidiano. Anche perché tutti siano consapevoli di come, indipendentemente da come andrà il teatrino della crisi di governo, senza forti mobilitazioni sociali i soldi saranno assolutamente insufficienti e tutti finalizzati a conservare l’esistente. 

16 Gennaio 2021
https://www.attac-italia.org/facciamo-chiarezza-su-mes-e-recovery-fund/