di Marco Bersani

Scegliamo “Comune info” per darvi la bellissima immagine di piazza del Popolo, il 21 novembre, abitata dalla “Società della Cura”.
Numerose realtà e tante singole  persone sono convenute per Uscire dall’economia del profitto”. Insieme. Le persone stese a terra lungo lo stesso filo a spirale, una metafora per significare che solo insieme ci si salva.

Sullo stesso numero di Comune info, l’articolo di Marco Bersani “Come in un cinico gioco dell’oca”: https://comune-info.net/come-in-un-cinico-gioco-delloca/
In allegato, riproponiamo il Manifesto valoriale della “Società della Cura”. Per aderire:
societadellacura@gmail.com

Come in un cinico gioco dell’oca

Marco Bersani
23 Novembre 2020

Sembrerebbe ci sia davvero poco da fare: le strategie messe in atto dal governo per fronteggiare la pandemia continuano a perseguire l’eterno ritorno dell’uguale. Dal primo lockdown sono stati spesi oltre 120 miliardi, ma la situazione del sistema sanitario, della sicurezza nei posti di lavoro e del trasporto pubblico è rimasta invariata. Le imprese inondate di soldi concessi sostanzialmente senza condizioni, le fasce meno protette della popolazione condannate alla disperazione. Secondo gli ultimi dati della Caritas, sono 450mila i nuovi poveri. La pandemia resterebbe una specie di parentesi tragica in un percorso di per sé lineare, c’è poi il costante anelito al vaccino risolutivo che permetterà di tornare a una normalità di ‘ricchi premi e cotillon’. Per fortuna c’è chi comincia a mostrare – in modo organizzato, quanto e come si può, e senza farsi strumentalizzare dal teatrino dei partiti né dalle solite trappole della protesta “violenta” tanto gradita ai media mainstream – che questo assurdo gioco dell’oca non è gradito. Sabato 21 novembre la giornata per “Uscire dall’economia del profitto, costruire la società della cura” è stata un successo. Un primo passo di un percorso che è appena cominciato ma che, a differenza di quello del governo, non ha alcuna intenzione di ripassare dal via

Come in un cinico gioco dell’oca, le strategie messe in atto dal governo per fronteggiare la pandemia continuano a perseguire l’eterno ritorno dell’uguale.

Mentre è sempre più evidente come la scelta estiva di dichiarare il “liberi tutti e senza cautele”, cedendo alla pressione dei grandi interessi turistici, sia stata una delle cause della virulenza della seconda ondata che ha investito il Paese, rieccoci proiettati nella medesima situazione con l’avvicinarsi delle feste natalizie.

Dal primo lockdown sono stati spesi oltre 120 miliardi, ma la situazione del sistema sanitario, della sicurezza nei posti di lavoro e del trasporto pubblico è rimasta invariata, trasformando ancora una volta un serio problema epidemiologico in una tragedia di massa.

Contemporaneamente, sono state inondate di soldi, e senza condizione alcuna, le imprese, relegando alla disperazione le fasce meno protette della popolazione, nelle quali, secondo gli ultimi dati della Caritas, vanno annoverati 450.000 nuovi poveri.

Diritto al reddito e diritto alla salute sono quotidianamente messi in contraddizione per continuare a servire la religione del mercato e del profitto, dentro una narrazione che considera la pandemia come una parentesi in un percorso di per sé lineare, e un costante anelito al vaccino risolutivo che permetterà di tornare ad una normalità di ‘ricchi premi e cotillon’.

Paradigmatica di questa ideologia è la discussione politica di quest’ultima settimana, con il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, in veste di santone della setta pentecostale della Borsa, che, da una parte, chiede al popolo -ormai definitivamente infantilizzato- di trascorrere un Natale sobrio, denso di spiritualità, fra congiunti stretti e senza abbracci, e, dall’altra, promette di farlo precedere da tre settimane di shopping sfrenato, per la gioia dell’economia (e di un virus che si prepara alla scorpacciata).

Fino alla discussione -surreale quanto tragica- se debba prevalere il rientro a scuola degli adolescenti o il pieno nelle funivie e sui campi da sci.

“Produci, consuma, crepa”, antica canzone provocatoria dei CCCP, è diventata la dimensione esistenziale che viene proposta come vita dentro la pandemia, per tenere in piedi un modello economico-sociale strutturalmente insostenibile.

Per fortuna, c’è chi dice no. In questi mesi, molte lotte sono scese in campo per dire che la pandemia non è un evento estraneo, né un nemico invisibile giunto da chissà dove, ma il segno profondo delle contraddizioni di un sistema che non è in grado di garantire protezione ad alcuno, che si alimenta della diseguaglianza sociale, della devastazione ambientale, della mercificazione della vita e della natura.

Molte di queste lotte ed esperienze si sono ritrovate dentro un percorso di convergenza che rappresenta una promettente novità: il passaggio da un terreno -assolutamente necessario, ancorché insufficiente- di difesa dei diritti e di riduzione del danno, alla sfida aperta sul modello di società, dandole un nome e proponendo un orizzonte a tutte le persone che continuano a considerare insopportabile lo stato di cose presenti.

“Uscire dall’economia del profitto, costruire la società della cura” è ciò che ha mosso oltre 330 realtà collettive e oltre 900 persone attive individualmente a scendere in 45 piazze -fisiche e virtuali- sabato 21 novembre, costruendo un filo comune e praticando una speranza collettiva.

Una giornata pienamente riuscita, un primo importante passo di un percorso che ha bisogno di allargarsi ancora per poter iniziare a incidere in profondità.

Perché quello che vogliamo è semplicemente trasformare il mondo.