Mobilitazione nazionale 12 giugno a Roma
Ore 15:30 Piazza dell’Esquilino

Di seguito, un bellissimo articolo di Marco Bersani  che ci fa sorvolare sulla campagna per la ripubblicizzazione dell’acqua dal suo esordio fino ad oggi, popolando la scena della tanta e varia umanità che ne è stata e ne è protagonista.

Si scrive acqua e si legge democrazia. Mobilitazione nazionale a Roma

di Marco Bersani

Sabato 12 giugno ritrovo alle 15.30 a Piazza dell’Esquilino per la manifestazione “Beni comuni, acqua e nucleare: indietro non si torna!”, mentre domenica (ore 18) si terrà un dibattito online con quelle realtà d’Europa e del mondo che hanno messo in campo la riappropriazione sociale dell’acqua e la sua gestione partecipativa

Teatro Greco di Siracusa, 8 giugno 2011: mentre l’arena gremita di spettatori attende l’inizio dello spettacolo, una persona si alza ed espone sulla balaustra la bandiera della campagna referendaria per l’acqua; in una manciata di secondi, solerti uomini della sicurezza gli sono addosso e tentano di sequestrare la bandiera. Dopo alcune iniziali proteste da parte di altri spettatori, improvvisamente qualcuno si alza in piedi e inizia a gridare “Vota SI! Vota SI!” ritmando con le mani.

È un attimo: l’intero teatro si alza in piedi e lo slogan diventa un coro collettivo per diversi minuti.
E’ stato guardando il video su Youtube che tutte e tutti ci siamo resi conto di come questa volta il quorum sarebbe stato raggiunto perché qualcosa di molto profondo era successo nella società italiana.

Di episodi come questo è stata interamente costellata la campagna referendaria, aperta il 26 marzo 2011 con una manifestazione nazionale (la terza) del movimento per l’acqua e una folla di 300mila persone in Piazza S. Giovanni.

Potrei citare il messaggio di una signora 86enne che, dall’ospizio umbro in cui risiedeva, ci scrisse rammaricata di non poter sostenere economicamente la campagna referendaria perché in condizioni di amministrazione controllata, ma che «ci ricordava ogni sera nelle sue preghiere»; o l’altrettanto commovente lettera dei detenuti all’ergastolo ostativo (i cosiddetti “fine pena mai”), che, pur non potendo ovviamente votare, ci garantirono la diffusione «attraverso Radio Carcere» dell’informazione e del sostegno ai referendum dentro tutte le carceri italiane; o le suore di clausura che, nella bergamasca, chiesero un incontro per poter essere informate sulla battaglia dell’acqua.

Non basterebbe un libro per raccontare il risveglio della società italiana dentro la stagione referendaria e per raccontare i tanti gesti e iniziative quotidiane autonomamente messi in campo da donne e uomini, di cui è stata intessuta l’intera campagna e il suo straordinario risultato finale.

12 e 13 giugno 2011: oltre 27 milioni di persone hanno votato SI ai due referendum sull’acqua ed è interessante analizzarne alcuni dati in termini di composizione sociale.

Il primo dei quali dice dell’omogeneità con cui si è votato su tutto il territorio nazionale: il quorum è stato infatti raggiunto in tutte le regioni italiane, pur con le storiche differenze di partecipazione tra nord e sud del paese.
Un secondo dato è estremamente interessante: oltre il 66% dei giovani dai 18 ai 25 anni è andato alle urne, segnalando come ogni analisi stereotipata e caricaturale sulle giovani generazioni è destinata – come in ogni epoca – a infrangersi contro la realtà.

Altrettanto degno di nota il dato sull’appartenenza politica dei votanti: perché risultano aver partecipato al voto il 26% di elettori dell’allora Pdl (Partito della Libertà) e il 42% degli elettori dell’allora Lega Nord, ciò che dimostra da una parte come, anche dentro quei partiti, la delega autoritaria abbia smesso di funzionare (i leader, a partire da Berlusconi e Bossi, avevano, espressamente e più volte, invitato a disertare le urne), dall’altra segnala la grande capacità da parte del movimento per l’acqua di tenere la barra della campagna sul tema e di saperla comunicare come battaglia di riappropriazione dal basso, ben lontana dai giochi politici del “Palazzo”.

Così come spiega molto più di decine di analisi sociologiche sulla disaffezione dei cittadini alla politica, il fatto che oltre il 25% dell’astensionismo permanente (ovvero di quella parte di elettorato che non vota mai) si sia recato alle urne per i referendum per l’acqua.

Ma il dato che più di ogni altro dà la cifra reale di cosa sia stata quella campagna referendaria è quello che informa di come oltre il 16% di coloro che si sono recati alle urne abbia dichiarato di aver partecipato alla campagna stessa, considerando come livello minimo di partecipazione «l’aver distribuito materiale nel proprio condominio»: significa che oltre 4.000.000 di cittadini, in modi e forme diverse per tempi ed intensità, si è attivato per la vittoria dei ‘SI’ ai referendum. E, fra questi, il 60% era alla sua prima esperienza di campagna elettorale e/o referendaria.

Sono numeri che parlano da soli. Dopo anni di atrofia della partecipazione, il movimento per l’acqua, mettendo in campo una vera esperienza di autoeducazione popolare sul tema dei beni comuni e di riappropriazione dal basso della partecipazione diretta, ha saputo coinvolgere intere fasce sociali tendenzialmente “lontane” e moltissimi cittadini comuni in una grande prova di democrazia reale.

Poiché le rivoluzioni non sono mai un evento ma un processo, anche quel risultato fu il frutto di un lavoro durato anni, a partire dal primo Forum Alternativo Mondiale sull’Acqua, realizzato a Firenze nel marzo 2003, passando per la nascita del Forum italiano dei movimenti per l’acqua a Roma nel marzo 2006, per il lancio di una legge d’iniziativa popolare per la ripubblicizzazione dell’acqua che, nel semestre gennaio-luglio 2007, raccolse oltre 400.000 firme.

Un processo di alfabetizzazione popolare diffuso in tutti i territori che è riuscito ad affermare il paradigma dei beni comuni come elemento centrale di alternativa alla narrazione liberista e come fulcro per la costruzione di un’alternativa di società.

Un percorso così dirompente non poteva essere accettato da governi e grandi poteri finanziari, che proprio sulla mercificazione dei beni comuni e sulla privatizzazione dei servizi pubblici contavano per riprendere i meccanismi di accumulazione finanziaria e dare uno sbocco alla crisi da sovrapproduzione del modello capitalistico.
Fu cosi che, preso atto della perdita di consenso intorno al mantra “privato è bello”, lo si trasformò nell’imposizione autoritaria “se anche privato non è bello, è obbligatorio e ineluttabile”.

Per fare questo passaggio, occorreva trasformare la storica favola liberista della ricchezza per tutti in un incubo “austeritario”, utilizzando lo shock del debito pubblico, che, non a caso, divenne il tema centrale a partire dall’agosto 2011, nemmeno due mesi dopo la vittoria referendaria, attraverso la famosa lettera della Banca centrale europea all’allora governo Berlusconi, sostituito nel novembre successivo dal governo “tecnico” di Monti.

Fu allora toccata con mano da tutte e tutti la verticale crisi della democrazia rappresentativa, incapace di dare corso alla sovranità popolare espressa attraverso la vittoria referendaria. Nondimeno, quella battaglia contribuì a costruire un argine ai processi di privatizzazione che, rimessi in campo più volte negli anni successivi, non sono ad oggi ancora riusciti a portare a fondo la messa sul mercato del più importante fra i beni comuni.

Tanto che oggi, dieci anni dopo quel referendum, l’antagonismo tra la narrazione liberista e il paradigma dell’acqua e dei beni comuni è tornato di stretta attualità.

Dopo un anno e mezzo di pandemia, che ha funzionato da evidenziatore di tutte le insostenibili contraddizioni del modello capitalistico, prefigurando la necessità di una radicale inversione di rotta per uscire dall’economia del profitto e costruire la società della cura, ci ha pensato il governo Draghi a rimettere l’acqua nel mirino della valorizzazione finanziaria, con un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) di nuovo fondato su crescita, competitività e concorrenza, nel quale si parla del servizio idrico unicamente in termini di aziendalizzazione, finanziarizzazione e privatizzazione.

Per questo, il decimo anniversario della vittoria referendaria non ha solo il sapore della memoria, bensì quello dell’attualità presente e futura di quella lotta e di quell’esperienza. Sabato 12 giugno a Roma con ritrovo alle 15.30 a Piazza dell’Esquilino è convocata la manifestazione nazionale “Beni comuni, acqua e nucleare: indietro non si torna!”

Un appuntamento per gridare tutte e tutti insieme che abbiamo compreso a fondo i significati espressi dalla pandemia e la sfida per un’alternativa di sistema che siamo chiamati a mettere in campo nei prossimi mesi: la società della cura, di sé, degli altri e delle altre, dell’ambiente e del diritto al futuro per le prossime generazioni, a partire dall’assunto irrinunciabile che senza acqua non c’è cura.

Domenica 13 giugno ore 18 si terrà un dibattito, online su zoom e diretta sula pagina fb acquabenecomune, dove interverranno le decine di esperienze di grandi città in Europa e nel mondo (da Parigi a Berlino, da Barcellona a Valparaiso in Cile) che hanno invertito la rotta mettendo in campo la riappropriazione sociale dell’acqua e la sua gestione partecipativa.

Perché oggi come ieri, si scrive acqua e si legge democrazia.

Tutte le immagini dalla pagina Facebook di Forum dei Movimenti Italiani per l’Acqua
 

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